La fotografia e il sistema dell’informazione. Appunti sul Fotogiornalismo: la questione italiana a cura di Punto di Svista

19 Maggio 2010

La fotografia e il sistema dell’informazione. Appunti sul Fotogiornalismo: la questione italiana a cura di Punto di Svista

stanley_kubrick-full_metal_jacketSiamo fotogiornalisti italiani, ci rivolgiamo all’Ordine dei Giornalisti e alla Federazione Nazionale della Stampa ritenendo che non sia più rinviabile l’affrontare il degrado che colpisce la nostra professione. La continua corsa al taglio dei costi da parte degli amministratori delle case editrici, basata sulla strana idea che economia di mercato voglia dire “spendere il meno possibile” e non “spendere il necessario per avere un prodotto migliore della concorrenza”, ha innescato un processo in cui la concorrenza sleale e il dumping sono premiati. Il livello che hanno raggiunto i prezzi delle fotografie che sono pubblicate sui giornali è talmente basso e i termini di pagamento talmente dilatati, che possono essere accettati solamente da agenzie fotografiche che non pagano i collaboratori, che usano manodopera subordinata senza inquadrarla secondo le norme di legge, e che usano, pagando in nero, pensionati, studenti e dopolavoristi. Tutti gli altri lavorano in perdita.

Queste poche parole, tratte dal comunicato dei fotocronisti che stanno protestando in varie città italiane, mettono bene in evidenza due problemi complementari del fotogiornalismo italiano: il problema culturale, con i suoi risvolti economici e il problema normativo, di regolamentazione del sistema.
Per analizzarli e arrivare a fare delle proposte concrete di miglioramento del settore parto da alcuni importanti dati.
L’Ordine dei Giornalisti di Milano, tra il 2008 e il 2009, ha commissionato ad Astra Ricerche due indagini statistiche riguardanti l’immagine dei giornalisti, il rapporto tra giornalismo e pubblicità, l’evoluzione del giornalismo. Sintetizzo le indagini, molto approfondite, e ne estraggo due risultati:
la categoria dei giornalisti (nella quale stanno anche i fotogiornalisti) ha una reputazione pessima: consultando l’indice che riassume le ricerche si può notare che il 55% degli italiani ha un’immagine negativa dei giornalisti; nonostante questo o proprio a causa di ciò, in Italia c’è una fortissima domanda sociale di giornalismo: il 54% degli intervistati da una valutazione altissima o alta dell’utilità del giornalismo; in sostanza c’è una grande domanda di informazione giornalistica qualificata.
La grande massa di informazioni che ci investe provoca una domanda di giornalismo che aiuti il lettore – boccheggiante nel mare di informazione – a selezionare le notizie, a verificarne l’attendibilità, ad avere una spiegazione di tali notizie, ad avere il piacere di consultarle grazie ad uno stile accattivante. Tutto ciò lo dice chiaramente l’indagine di Astra Ricerche.

Quindi c’è un largo bisogno di divulgazione credibile delle notizie. Chi può farla?
Soprattutto i fotogiornalisti. Il fotogiornalismo è capace di essere credibile e divulgativo.
Lo fa? Lo fanno i fotogiornalisti italiani? Certo che lo fanno: moltissimi fotogiornalisti italiani fanno approfondimento, indagano, selezionano le notizie, trovano storie emblematiche, verificano la loro attendibilità e ce la spiegano pure con immagini efficaci, fanno un lavoro di ricerca sia nei contenuti che nell’uso del linguaggio fotografico. Lo dimostrano i 9 fotografi italiani premiati quest’anno al World Press Photo.
Lo fanno gli editori? No, non lo fanno! Gli editori italiani non usano le potenzialità del fotogiornalismo.
Ecco il problema. È qui il problema culturale.
Su 9 fotografi italiani premiati al World Press Photo due di essi già vivono all’estero e soprattutto nessuna testata italiana è citata accanto ai loro nomi nell’elenco consultabile sul sito del premio. Il che significa che solo due di essi hanno avuto un incarico da giornali stranieri per il servizio premiato e che gli altri evidentemente non hanno nemmeno pubblicato le foto vincitrici.
In Italia c’è una preoccupante carenza di editori: sono pochi e con una mentalità imprenditoriale distorta.
Quando gli editori parlano di vendere un giornale, non pensano solo alla vendita di copie, ma soprattutto alla vendita di spazi pubblicitari. E qui intendiamoci: il denaro che arriva dagli inserzionisti è fondamentale per il buon fotogiornalismo (cioè per comprare immagini o commissionare servizi di alta qualità e in esclusiva per la testata).
Invece gli editori italiani non hanno saputo far di meglio che vendere i giornali alla pubblicità, assecondando le richieste degli inserzionisti. Hanno pensato “se io acchiappo molti inserzionisti faccio un buon giornale”. Ma non è accaduto, perché gli investitori pubblicitari ne hanno approfittato: hanno asservito i giornali, li hanno distorti, li hanno resi non più efficaci per la stessa pubblicità. L’idea secondo la quale “se io acchiappo molti inserzionisti faccio un buon giornale” non ha funzionato e dovrebbe essere sostituita con l’idea in base alla quale “se io faccio un buon giornale acchiappo molti inserzionisti?.
La pubblicità ha bisogno di un veicolo affidabile: è il canale che determina l’efficacia del messaggio. Quindi un buon fotogiornalismo funziona anche negli interessi della pubblicità seria, la pubblicità serve al buon fotogiornalismo, e il cerchio si chiude.
Ma in Italia ciò non succede. Lo scopo degli editori è solo quello di spendere meno, come dicono i fotocronisti milanesi.

Ora: io non posso pensare e non credo che gli editori siano stupidi o incapaci, che non ci abbiano pensato. Semplicemente non hanno saputo affrancarsi da una storica arretratezza culturale della fotografia italiana e soprattutto hanno seguito degli interessi.
Gli interessi del nostro sistema editoriale (che non è mai stato un potere economico a sè stante, non ha quasi mai visto la figura dell’editore puro, ma ha sempre avuto come punto di riferimento gruppi di interesse politico o economico) è quello di avere un pubblico manipolabile, infantilizzato, a costo di cancellare la realtà e di proporne un’altra: per vendere, un prodotto, un’ideologia, un voto, per creare consenso intorno ai politici o agli imprenditori di riferimento.
Quello che si sta cercando di ottenere è un pubblico che non faccia scelte intelligenti, che non voti in modo razionale, che viene ingannato. Esattamente quello che sta succedendo qui in Italia.
Ecco dunque che la completezza dell’informazione viene soppiantata dallo spettacolo di un’informazione superficiale, facilmente digeribile, rassicurante, distraente.

In questo panorama il buon fotogiornalismo è scomodo, l’informazione fatta di approfondimento e divulgazione è ciò che proprio non vogliono i mass media italiani.
Oggi nell’editoria la produzione fotografica viene filtrato e divisa in due gruppi: il primo, che approfondisce autonomamente con lo scopo di fornire strumenti divulgativi adatti alla comprensione e all’analisi, viene accantonato. Si privilegia il secondo, quello di chi si allinea alle richieste superficiali e propagandistiche dei media (sesso, sangue e soldi).
La conseguenza di tali richieste editoriali è duplice: genera un pubblico assuefatto: anche chi guarda le foto si è abituato alle immagini stereotipate; genera un fotogiornalista a forte rischio di autocensura, cioè spinto ad assecondare richieste generiche e qualunquiste.
Occorre fare qualcosa. E arriviamo al problema dell’assenza di regole nel settore.
La vendita di fotografie, specialmente tramite le agenzie fotografiche, in Italia si è sviluppato senza regole. Moltissimi fotoreporter non sono iscritti all’Ordine e non devono sottostare a controlli di alcun tipo; le agnezie fotografiche non hanno l’obbligo di collaborare con fotogiornalisti iscritti all’Ordine o ad associazioni professionali; la maggioranza delle agenzie non sottoscrive contratti con i collaboratori, ma taciti accordi verbali con i quali paga “a venduto” (cioè solo se le foto vengono cedute ad un editore) lasciando al singolo fotografo l’onere delle spese da sostenere per la produzione di quelle immagini.

Abbiamo visto che gli editori vedono la foto solo come un costo e non come un valore aggiunto alla credibilità della testata o dell’informazione. Quindi si rivolgono a chi fornisce loro foto stereotipate e a basso costo. E questi fornitori possono essere solo quelle agenzie fotografiche che – come dicono i fotocronisti – usano manodopera subordinata senza inquadrarla secondo le norme di legge, usano pagando in nero, pensionati, studenti e dopolavoristi oppure non pagano affatto i collaboratori.
Occorre riformare il sistema e a tal proposito voglio formulare delle proposte, che poi sono anche quelle dei fotocronisti in agitazione.
In Italia si dovrà puntare ad ottenere:
1. un pieno riconoscimento  del mestiere di fotogiornalista, tramite associazioni, enti, sindacati (più di uno) che regolino l’accesso alla professione grazie ad un’adeguata formazione e al conseguente rispetto di norme etiche, deontologiche, economiche
2. una regolamentazione del mercato delle agenzie, che devono diventare simili ad un’agenzia di stampa, con tutti gli onori e gli oneri del caso (struttura redazionale con direttore responsabile, percentuale di fotografi assunti sul totale dei collaboratori, obbligo di assumere o collaborare con iscritti a categorie professionali, etc. etc.)
3. una regolamentazione del sistema editoriale in modo da obbligare gli editori a servirsi di strutture o professionisti riconosciuti e quindi attendibili
4. una piena considerazione da parte degli editori del valore giornalistico come base del valore economico delle fotografie. Direttori o responsabili di testate straniere possono dimostrare quanto il loro modello di utilizzo del fotogiornalismo funzioni a livello economico e quanto sia richiesto da pubblico e inserzionisti
5. la determinazione di un tariffario aperto con un minimo stabilito, come quello di tante altre categorie professionali
6. una valutazione dei cosiddetti citizen journalists, che potranno essere tali passando il filtro di redazioni che controllino la correttezza delle loro informazioni e dei loro compensi.

Punto di Svista 05/2010

Sintesi dell’intervento di Leo Brogioni (fotografo, giornalista, docente di fotogiornalismo e collaboratore di Fotografia & Informazione) effettuato durante l’incontro nazionale “Appunti sul Fotogiornalismo: la questione italiana” svoltosi a Roma il 24 aprile 2010 e  curato dalle associazioni Punto di Svista e Officine Fotografiche e dalle testate giornalistiche Il Fotografo e CultFrame – Arti visive


IMMAGINE

Frame dal film Full Metal Jacket di Stanley Kubrick

LINK
Fotografia & Informazione. La rivolta dei fotografi di cronaca. Di Matteo Bergamini
Ordine dei Giornalisti di Milano. Astra Ricerche. Il futuro del fotogiornalismo