Pietro D’Agostino

30 Settembre 2009

Pietro D’Agostino

Se fossi cosa che cosa sarei, 2005
Se fossi cosa che cosa sarei, 2005

Esiste una relazione sotterranea, quanto automatica, tra elementi della realtà e casualità architettonica dell’agire della luce? È plausibile l’esistenza di una dimensione “altra” che restituisca al soggetto guardante la possibilità di svincolarsi dal significato del visibile per accedere a un universo non interpretativo ma poeticamente percettivo del reale? Può la fotografia rivelarci ciò che i nostri occhi avvertono ma che il nostro cervello seleziona e scarta per consentirci una vita possibile?

La risposta a queste domande è sì, e il lavoro di ricerca che porta avanti Pietro D’Agostino da molti anni ne è la prova. In tal senso, definire “fotografia” il suo campo di azione/ricezione appare assai riduttivo. Ci porterebbe fuori strada. L’autore, infatti, procede attraverso il meccanismo dell’indagine allo stesso tempo metodica, cioè stimolata dal pensiero intelligente, e irrazionale, cioè sospinta da un’istintiva esigenza di investigazione che ha a che fare con la poesia e i significanti piuttosto che con la riflessione teorica finalizzata alla produzione di oggetti artistici. Non c’è alcuna contraddizione in tale atteggiamento, anzi si avverte una coerenza di fondo che raramente è riscontrabile nel panorama contemporaneo. Forse, l’aggettivo più appropriato da accostare alla parola lavoro nell’universo di Pietro D’Agostino dovrebbe essere “filosofico”, piuttosto che banalmente “artistico”. Si avverte nelle sue opere una sorta di visione globale, la presenza di un’istanza percettiva che lo spinge a rintracciare, lì dove esiste già (poiché tutto esiste già), l’inevitabile architettura della luce.

Allontanarsi dalla questione contenutistica e avvicinarsi alla registrazione di qualcosa che la nostra psiche elimina per non destabilizzarci è di per sé atto creativo anticonvenzionale, libero da preconcetti e tutto concentrato non a spiegare, quanto a riconoscere ciò che è intorno a noi e che non siamo più in grado di comprendere, poiché ingabbiati nell’ossessione del messaggio codificato. La fotografia psuedo-astratta di D’Agostino, dunque, è il rovescio della medaglia della raffigurazione della natura che ha rappresentato negli ultimi tempi un rinnovato territorio di ricerca. Accostare un’immagine “casuale” alla rappresentazione della fitta vegetazione della campagna romana non è operazione ardita ma certificazione di una potente multi-direzionalità e ricettività dello sguardo, della presenza del fotografo nel mondo e della sua esigenza di divenire un radar puntato sull’esistente visibile/invisibile.

© Pietro D'Agostino. Se fossi cosa che cosa sarei, 2005               © Pietro D'Agostino. Se fossi cosa che cosa sarei, 2005               © Pietro D'Agostino. Onda particella, 2006 © Pietro D'Agostino. Onda particella, 2006               © Pietro D'Agostino. Una qualità ritrovata, 2007              © Pietro D'Agostino. Una qualità ritrovata, 2007

Tutte le immagini © Pietro D’Agostino / 1, 2 Se fossi cosa che cosa sarei, 2005
3, 4 Onda particella, 2006 / 5, 6 Una qualità ritrovata, 2007

© Punto di Svista 09/2009
Estratto dal testo critico scritto in occasione della mostra personale di Pietro D’Agostino presso la Galleria Gallerati di Roma (novembre 2009)

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Il sito di Pietro D’Agostino
CULTFRAME. Una qualità ritrovata. Un libro di Pietro D’Agostino
CULTFRAME. Pietro D’Agostino. Modulazioni